L’università non è soltanto
un’istituzione culturale o un’istituzione formativa, essendo un grosso ente
riesce a dare molti posti di lavoro e soprattutto sul territorio pisano questo
incide sulla qualità della vita delle molte persone che lavorano per e
nell’università.
Le forme di somministrazione di lavoro di questa emerita
istituzione culturale hanno quindi grosse ricadute sul mercato del lavoro
locale, per questo ci sembra necessario dover individuare le responsabilità che
l’Ateneo ha rispetto hai processi di precarizzazione delle varie forme di
lavoro.
La ricerca, la didattica e i servizi, più o meno avanzati,
si reggono su un sistema di lavoro sottopagato, precario e senza diritti,
diventando modello per gran parte dei settori dell’ economia locale.
Questo modello ad alta intensità di precarizzazione del
lavoro è imposto tramite procedure d’acquisizione di lavoro esterno, per mezzo
di contratti atipici o a tempo determinato o, attraverso i lavoratori dati in
affitto dalle agenzie interinali.
Altra pratica diffusa è l’esternalizzazione dei servizi, i
quali così sono gestiti da privati (cooperative o aziende d’altro tipo) facendo
ricadere sul lavoratore una duplice subordinazione; l’una legata alla sua figura
di dipendente a tempo dell’azienda, l’altra alla dipendenza dall’ente
appaltante.
La logica per la quale gli appalti pubblici sono concessi a
quelle ditte (ma soprattutto cooperative) che rispettano come unico standard la
riduzione dei costi, porta inevitabilmente alla compressione della qualità del
servizio e ad uno stritolamento delle garanzie per i lavoratori, i quali sono
costretti ad attendere mesi prima di ricevere i loro stipendi e vedono i
diritti naufragare senza rimedio.
I precari nell’università sono più della metà dei lavoratori
e si dividono in tre grandi settori:
Servizi di portineria,
di pulizie, di custodia e manutenzione:
In questo settore le coop gestiscono i lavoratori come veri
e propri caporali, con contratti di basso livello e che prevedono le più
svariate mansioni, tipico è l’utilizzo del contratto multiservizi,
è un classico servizio esternalizzato che viene definito appunto
tradizionale o di lunga data, nel senso che parlare di precarietà in questo
settore è più difficile di quel che sembri.
Questo perché da sempre i servizi di manutenzione e pulizia
sono stati gestiti da altre ditte (più recente l’esternalizzazioni delle
portinerie), essendo quindi esternalizzazioni avvenute in epoche dove la
flessibilità non era ancora pratica consolidata si sono create da subito forme
di garanzia che non caratterizzano invece le “nuove esternalizzazioni” che vedremo in seguito.
Faccio riferimento all’utilizzo nella stragrande maggioranza
dei casi a contratti indeterminati da dipendente con clausole (inserite
addirittura nel ccnl multiservizi) che prevedono la reintegrazione dei
lavoratori in caso di cambio d’appalto.
Se si vuole vedere un po’ più a fondo si trovano elementi di
precarizzazione.
Oltre al fatto che ha parità di mansioni i dipendenti delle
ditte esterne e i dipendenti diretti dell’Ateneo, per quel che riguarda ad
esempio le portinerie, hanno molti meno diritti e una paga oraria
scandalosamente più bassa.
Un dipendente colser (una delle maggiori coop che ha in
appalto i servizi sopra citati) ha una paga oraria di euro 6.30 lordi mentre un
dipendente dell’università guadagna euro
21 lordi, chiaramente ci paga più tasse, ma calcolate che se un dipendente
diretto arriva con 36 ore a settimana a prendere in fondo al mese 1200 euro
circa un dipendente colser per arrivare intorno ai 1080 euro deve fare 40 ore
settimanali.
All’università un’ora di appalto colser costa comunque 14,50
euro circa, comunque meno di quanto costa un dipendente diretto.
Inoltre il dipendente dell’università viene pagato 12 mesi l’anno mentre il
dipendente esternalizzato viene pagato solo quando lavora e quindi nei momenti
di chiusura del servizio o si trova qualche sostituzione in altri servizi
oppure non ha entrate.
Altra questione interessante è la cosiddetta esternalizzazione
global service.
Con il termine anglosassone Global Service si indica
comunemente un contratto per la fornitura di un insieme di servizi/attività
tese a soddisfare le esigenze complessive di un Committente/Cliente nell’ambito
della manutenzione. In particolare, si parla di Global Service quando si affida
ad un’unica azienda esterna (outsourcing) la gestione unitaria di una
serie di servizi manutentivi.
Una degli aspetti maggiormente innovativi del Global Service
riguarda il corrispettivo economico del servizio manutentivo, che non viene più
commisurato sui volumi manutentivi erogati, bensì sul risultato globale
dell’intervento manutentivo.
In questi giorni nel nostro ateneo sta avvenendo questo:
gli appalti sul portierato e sui servizi di pulizia sono
stati assegnati a un paio di ditte tramite esternalizzazioni diverse, sempre al
massimo ribasso dell’offerta economica, ma con lunghe trattative da parte dei
sindacati per guadagnare un ribasso non troppo sfavorevole per i lavoratori
impiegati, che tra poco, specie quelli delle pulizie, se continuano così i
ribassi dovranno pulire l’ateneo raggiungendo record mondiali di velocità.
Adesso l’Ateneo ha tolto il 30% degli appalti alle ditte,
cosa che può fare per capitolato d’appalto, un 30% rappresentato dal polo
carmignani, il polo porta nuova e ingegneria oltre alla sapienza, dove tutti i
servizi di portierato, pulizia e manutenzione ordinaria e straordinaria saranno
esternalizzati tramite questa pratica di global service con una mega gara
d’appalto al ribasso.
In questo modo l’università risparmia e i lavoratori si
troveranno in chissà quale ditta che su un ennesimo ribasso (questa volta si
teme enorme) restringerà i tempi di lavoro dei suddetti lavoratori.
Servizi d’amministrazione,
tecnici e biblioteche:
Nell’Università di Pisa a fronte di 1500 lavoratori
strutturati ci sono 900 dipendenti, tra determinati e interinali, senza contare
gli occupati tramite esternalizzazioni, tra i più invisibili.
Qui l’esternalizzazioni stanno prendendo sempre più piede con
tipi di contratto a tempo determinato, atipici e con pochissime garanzie
occupazionali, i lavoratori in questi casi non possono ancora contare sui
passaggi diretti da un appalto all’altro, sono le cosiddette nuove
esternalizzazioni caratterizzate da un estrema precarietà e da una più alta
professionalità.
Le Biblioteche dell’Università di
Pisa e l’Archivio del nostro Ateneo funzionano e offrono gli attuali servizi
alla comunità universitaria e alla cittadinanza, solo grazie all’utilizzo di
personale precario ed esternalizzato.
A fronte di una sempre più
massiccia riduzione del personale a tempo indeterminato, da parte
dell’Amministrazione universitaria non è stata attuata, negli ultimi 5 anni,
una politica adeguata di assunzioni e stabilizzazioni, per coprire il carico di lavoro necessario a
garantire il livello minimo dei servizi.
A fronte di un organico effettivo
che consta, almeno dai dati ufficiali, di circa 95 bibliotecari, circa 50
persone hanno lavorato e lavorano nelle Biblioteche e nell’Archivio
dell’Università, con le più svariate tipologie contrattuali: dal tempo
determinato, al co.co.pro., dall’interinale al co.co.co, dalla licitazione
privata, all’esternalizzazione tramite appalto, utilizzata anche per l’apertura
serale dei centri. Tutto il personale che opera con queste tipologie
contrattuali, è sottoinquadrato e sottopagato, rispetto alle funzioni realmente
svolte sul luogo di lavoro e rispetto al titolo di studio posseduto. A partire
da Gennaio 2007 l’Università, inaspettatamente, non ha rinnovato la quasi
totalità di questi contratti precari, non giustificando in alcun modo tale
scelta, né tantomeno inviando alcuna comunicazione.
Per quel che riguarda invece gli
esternalizzati quest’anno il natale non sarà festeggiato visto che il contratto
e l’appalto a cui è legato scadono il 20 dicembre, la nuova gara è già stata
fatta e stanno aspettando di vedere chi è il vincitore, ancora oggi non ci sono
garanzie di reintegrazione per le17 persone attualmente impiegate.
Per gli esternalizzati gli stipendi
si aggirano intorno ai 980 euro mensili se si considera 36 ore a settimana di
monte orario, a cui quasi nessuno arriva, vengono inoltre pagati per 10 mesi
l’anno visto che l’interruzione dei servizi si allunga sempre più intorno a
natale, pasqua, per agosto e fine luglio e essendo impegnati sul servizio
serale che è attivo solo in alcuni momenti dell’anno è fortissima la
flessibilità dell’ orario di lavoro e di conseguenza le buste paga di alcuni
mesi risultano tragiche.
Il nostro Ateneo continua intanto
a dimezzare il fondo destinato alla voce “tempo determinato”, da sei milioni
siamo passati a tre con ulteriore minaccia di diminuzione, inoltre di
stabilizzazioni degli ormai troppi precari tecnico amministrativi non se ne
parla, come al solito sul personale precario come sugli studenti si fanno
ricadere i problemi di bilancio.
Ricerca e didattica:
Un referendum di questa fascia di lavoratori fatto nel marzo
2006 a Pisa, ha
evidenziato una realtà composta di 17 tipologie diverse di ricercatori e
docenti atipici e/o a tempo determinato:
1.538 contratti a progetto solo nel 2005, 150 prestatori
occasionali e quasi 600 co.co.co.
Si tratta di una vera e propria giungla in cui convivono gli
assegnisti,i borsisti, i co.co.co., gli specializzandi, i professori a
contratto e i dottorandi dall’età media molto elevata, eppure permanentemente
ricattabili.
La condizione comune
che unisce trasversalmente tutte queste figure è che si trovano, vicini ai
(sempre meno) colleghi “di ruolo” a svolgere le medesime mansioni (spesso
con preparazioni specifiche o rendimenti di gran lunga superiori a quelli degli
strutturati), ma con contratti
sfavorevoli sotto il profilo della retribuzione e dei diritti e per di più
flessibilizzati negli orari.
Sembra chiaro come l’università miri ad
avere una gran quantità di manodopera a basso costo, senza contributi e senza
diritti e sempre più ricattabile.
Le responsabilità di questo sistema di dilagante precarietà
non sono chiaramente tutte del nostro ateneo, la scarsità di finanziamenti che
il governo trasferisce al sistema universitario e, andando ancora di più al
cuore del problema, il meccanismo perverso secondo cui gli aumenti di stipendio
del personale universitario sono stabiliti a livello governativo senza
prevedere la corrispondente copertura finanziaria, finendo così per gravare sui
bilanci dei singoli atenei.
Infatti, dicono i rettori, la crescita del Fondo di
Finanziamento Ordinario delle università statali è stata negli ultimi anni di
gran lunga inferiore rispetto alla dinamica delle retribuzioni
Questa situazione si riflette anche all’interno
dell’Università di Pisa, con un bilancio in crescente affanno e con lo
sforamento, seppur di pochi punti decimali, della soglia del 90% nel rapporto
tra FFO e spese per il personale. Tra 1995 e 2006 i dipendenti dell’Ateneo sono
cresciuti di 101 unità. In termini percentuali, la crescita complessiva è stata
di circa il 3%: il numero dei docenti è aumentato del 3,97% e quello del
personale tecnico-amministrativo dell’1,86%.
A fronte di un aumento decisamente contenuto del numero di
dipendenti universitari, vi è la crescita molto più sostenuta del loro costo.
Nello stesso arco di tempo 1995-2006, infatti, la spesa per il personale
dell’Università, sia a tempo indeterminato che determinato, è aumentata,
passando da 239 miliardi di lire a 465 (o, se si preferisce, a 240 milioni di
euro). Nello stesso periodo il Fondo di Finanziamento Ordinario trasferito dal
ministero al nostro Ateneo è cresciuto passando solo da 259 miliardi di lire a
400 (o 207 milioni di euro).
I dati, sintetizzati nella Tabella 3 e nel
successivo Grafico, dimostrano lo squilibrio evidentissimo tra la dinamica di
crescita dell’FFO (+54,4%) e quella delle spese per il personale (+94,6%) e
spiegano in buona parte il difficile momento finanziario che sta vivendo
l’Università di Pisa.
Tabella |
||
Anno |
Spesa personale a tempo indeterminato e |
Assegnazione Fondo di Finanziamento Ordinario |
1995 |
L. 239 |
L. 259 |
1996 |
L. 294 |
L. 319 |
1997 |
L. 307 |
L. 343 |
1998 |
L. 325 |
L. 354 |
1999 |
L. 342 |
L. 353 |
2000 |
L. 354 |
L. 366 |
2001 |
L. 364 |
L. 378 |
2002 |
L. 385 (€ 199) |
L. 375 (€ 194) |
2003 |
L. 427 (€ 220) |
L. 375 (€ 194) |
2004 |
L. 449 (€ 232) |
L. 387 (€ 200) |
2005 |
L. 449 (€ 232) |
L. 402 (€ 208) |
2006 |
L. 465 (€ 240) |
L. 400 (€ 207) |
(I valori sono espressi in miliardi di lire e in milioni di
euro)
Le difficoltà si sono accentuate a partire dal 2001, ultimo anno in cui
l’FFO ha avuto una consistenza maggiore rispetto alle spese sostenute per il
personale. Nell’anno successivo, infatti, mentre l’FFO è diminuito da 378 a 375
miliardi di lire, le spese per il personale sono continuate a crescere,
passando da 364 a 385 miliardi di lire.
I dati ci forniscono poi l’immagine più
aggiornata per quanto riguarda il 2006, che evidenzia come le spese per il
personale abbiano raggiunto i 465 miliardi di lire (o 240 milioni di euro)
contro i 400 miliardi (o 207 miloni di euro) dell’FFO: lo squilibrio è così salito
a 65 miliardi di lire o, in alternativa, a 33 milioni di euro. Nel frattempo la
finanziaria 2007 ha previsto un piano straordinario di reclutamento per la
ricerca di 140 milioni di euro, la cui prima quota (20 milioni di euro) viene
riferita all’anno corrente. Questi 20 milioni sono stati stornati sul FFO con
specifiche finalità con richiamo d’obbligo alle vecchie regole concorsuali,
quindi il finanziamento verrà dato a livello nazionale a chi non avrà superato
il tetto del 90% della spesa al personale in rapporto al FFO. Il nostro ateneo
dunque per un punto decimale non riceverà i finanziamenti e per i ricercatori è
il caso di dire: oltre al danno la beffa; questo perché non solo nonostante le
sole 101 unità assunte negli ultimi dodici anni la spesa per gli stipendi è
pressoché raddoppiate, ma questo precluderà anche l’accesso ai finanziamenti
per assumere ricercatori. Inutile dire che le esternalizzazioni sono anche il
modo migliore per il nostro ateneo di far gestire i propri servizi a privati in
modo da non dover assumere personale direttamente che andrebbe ad incidere sul
famoso tetto del 90%. Questo è il costo dell’autonomia finanziaria e di questo
assurdo vincolo sulla spesa al personale in rapporto ad un FFO che continua a
calare. Le cifre del solo 2003, ultimo anno della rilevazione statistica:
l’Italia ha investito lo 0,9% del suo PIL a fronte di una media dell’1,4% dei
Paesi Ocse, risultando così al 28° e ultimo posto della graduatoria, questo
mentre nel processo di convergenza partito da Bologna si continua a parlare di
una spesa in rapporto al PIL del 3%.
.