Riportiamo di seguito l’intervento di Luca (collettivo aula R) e l’intera registrazione audio dell’ultimo seminario sui percorsi di socializzazione e di partecipazione politica all’interno di una città universitaria.
Il seminario è stato suddiviso in due interventi principali, il primo, ha visto Francesco Auletta parlare della storia degli ultimi 15 anni di governo dell’università di Pisa tra autonomia e aziendalizzazione e ha analizzato in modo chiaro e preciso i rapporti tra Ateneo e territorio pisano soffermandosi anche sui rapporti politici e amministrativi intercorsi tra Modica (ex-rettore, ex-presidente crui, ex sottosegretario ministro Mussi) e l’appena trascorsa amministrazione Fontanelli.
Luca, a nome del collettivo, ha invece parlato in termini più generali e in maniera sintetica del rapporto tra riforme e movimenti studenteschi, seguendo il filo dell’aziendalizzazione e di un’università che aprendosi alle masse è diventata poi una fabbrica per precari in formazione. Sempre nello stesso intervento, si è soffermato su un problema che sembra essere quarantennale, ovvero il problema dell’autoriconoscimento del soggetto studentesco nelle dinamiche di movimento, analizzato all’interno dei conflitti scoppiati nelle università italiane e con una breve parentesi sull’esperienza francese del 2006 (movimento anti-cpe).
registrazione audio del seminario
Intervento del collettivo:
"Le mobilitazioni studentesche, dall’università di massa alla fabbrica di precari"
L’università oggi in Italia così come in buona parte del mondo cosiddetto industrialmente avanzato stenta ancora a produrre quadri dirigenti, ma nella gran parte è diventata un’agenzia pubblica di precarizzazione del lavoro. Il nuovo soggetto studentesco è stato determinato da un mutamento che ha portato ad un processo di massificazione prima, poi di alienazione e infine ha creato il cosiddetto precario in formazione.
La massificazione è stato il prodotto di una vittoria da parte del movimento studentesco. Sul motto anche l’operaio vuole il figlio dottore, nel 68 si aprono le porte, partendo da sociologia a Trento, agli studenti degli istituti tecnici e l’università diventa di massa.
La composizione politica del soggetto studente mutò rapidamente. La scolarizzazione di massa, l’ingresso negli atenei di settori sociali prima totalmente esclusi dalla formazione superiore produce un salto di qualità dei movimenti studenteschi -numerico e politico- per l’emergere di una radicalità legata ad un maggior distacco dai privilegi delle classi dominanti e ad un primo embrionale riconoscimento di un tutt’altro che certo futuro lavorativo. Ha qualcuno fu subito chiaro che era più semplice e più utile, invece di chiudere le porte all’università, mettere le università al servizio della produzione economica, formando manodopera qualificata per conto delle esigenze della trasformazione qualitativa della produzione. Modello americano docet, le classi dirigenti europee avranno più chiari gli strumenti e daranno vita al “processo di Bologna” per un’idea di aziendalizzazione e di un meccanismo più sofisticato da affiancare alla pura e semplice selezione all’ingresso. La canalizzazione, i diversi livelli di laurea.
Siamo in un mare di “Gui” dicevano gli studenti nel ’68, dopo l’inserimento da parte della riforma Gui dei tre livelli di laurea (diploma biennale, laurea e dottorato di ricerca). La riforma Malfatti nella medesima direzione nel 1977 metteva i piani di studio sotto rigido controllo dei docenti e smantellando la loro liberalizzazione avvenuta nel ’68 aboliva gli appelli mensili e istituiva le due sessioni (estiva-autunnale).
La riforma Ruberti però fa il salto di qualità, venendo non a caso dopo più di un decennio dopo l’ultimo movimento studentesco significativo, sebbene vi fosse stata una nuova importante onda nel 1985, con protagonisti però gli studenti medi. L’autonomia organizzativa e finanziaria degli Atenei spinti a cercare “contributi” da soggetti privati incentivò l’aziendalizzazione e immise il principio della concorrenza, costruendo luoghi di formazione in grado di selezionare/canalizzare gli studenti. Ristabilita quindi pienamente una differenziazione dei percorsi tesa a suddividere la massa dall’elite.
A differenza delle riforme Gui e Malfatti seppellite dal movimento, la Ruberti fu invece approvata con i decisivi emendamenti del Pc e con la tragica sconfitta del movimento della “Pantera”. La caratteristiche di tale movimento a differenza degli altri movimenti studenteschi sorti in prossimità del 68 e poi del 77 è stata la non ideologicità del dibattito mirato a rimanere dentro le facoltà più che a vedere queste come trampolino per un ripensamento di tutto il sistema. Si era probabilmente messo allo scoperto proprio la perdita del senso condiviso della comunità universitaria e si proponeva di rilanciarlo, si auspicava la creazione di un movimento universitario che portasse le rotture dentro ogni categoria.
La coscienza di essere una delle componenti del sistema universitario, portava ad un policentrismo delle azioni di lotta. Il movimento della pantera mentre cercava di fermare la riforma, gridava al tentativo di privatizzazione e alla volontà da parte della classe dirigente di buttare fuori i figli delle classi subalterne dagli atenei. La realtà era un pò più complessa, ma non andava in direzioni tanto distanti. Gli iscritti nelle università continuano ad aumentare, negli ultimi vent’anni si parla del 69% d’aumento, questo però non significa che l’università sia aperta e accessibile a tutti. Inanzitutto alla laurea arriva solo il 12% tra i giovani dai 25 ai 34 anni, dato inferiore alla media dei paesi ocse (20%).(dato del 2002 Eurostat).
Se a metà degli anni sessanta il 21,7% dei diciannovenni si iscriveva all’università nel 2001 il dato era al 47,2%, negli anni sessanta i laureati erano il 70% mentre nel 2001 il 40,7%. È vero però che gli effetti dell’aumento delle tasse e dei tagli al diritto allo studio dopo la riforma Ruberti fecero notevolmente calare la percentuale dei diplomati iscritti all’università al termine della scuola (dall’80% del 91 al 64% nel 2000 seppur con lieve aumento in valori assoluti visto l’aumento del numero dei diplomati).
La riforma del 3+2, con la prospettiva della laurea breve e dunque economicamente più sostenibile, ha chiaramente introdotto l’impennata delle immatricolazioni.
Solo con la pace sociale imposta dal Governo di centro-sinistra e quindi gli scarsi livelli di conflittualità anche all’interno delle facoltà c’è stato l’ardire di proporre ed approvare un’ulteriore riforma complessiva. L’Autonomia didattica di Berlinguer e Zecchino è andata a completare quella finanziaria e ad introdurre i due livelli di laurea tanto desiderati. La riforma è stata approvata per decreto, senza nessun dibattito parlamentare e senza nessuna discussione sui mass-media o dentro le università, se non per i tentativi dei vari collettivi. Si conclude con Zecchino il processo di diversificazione dei livelli si istruzione che ricalchi la stratificazione sociale societaria senza garantire effettivi gradi di mobilità sociale.
Tramite i tanto sbandierati criteri di meritocrazia si continua a stracciare uno dei principi cardine del ’68, cioè il rifiuto di qualunque forma di selezione e dell’impegno per la trasmissione dei saperi critici attraverso i quali formare “cittadini sovrani” e affermare principi di equità e solidarietà. Gli atenei si sono trasformati in agenzie di collocamento per precari in formazione pronti ad essere tasselli flessibili da inserire nel mercato del lavoro.
Lo stesso soggetto studentesco è scomparso, ad oggi un numero di utenti usufruiscono di un servizio per cui pagano, e sono ridotti a vivere le strutture universitarie così come si può vivere un ufficio postale. Molti gli studenti che non si ritengono tali, perché lavoratori, non frequentanti, oppure che si impegnano in associazionismo e attivismo politico esterno all’università. La perdità della comunità universitaria che i panteristi intravedevano è ad oggi un dato di fatto.
Un’università che quindi sulla base di una scarsa attenzione da parte degli studenti ai processi decisionali e alle trasformazioni di un ateneo/azienda non trova molte opposizione nei momenti in cui va a trincerare le sue strutture cercando di far passare l’idea che non siamo in uno spazio pubblico, ma in un’azienda dove non puoi entrare a fare attività oltre l’orario di lavoro/produzione/ studio.
L’impegno da parte degli studenti al di fuori delle strutture universitarie e quindi il disimpegno all’interno deriva dalla carenza di autoriconoscimento come soggetto studentesco.
Un problema questo, ricorrente:
Ad esempio, il movimento del 68 ha avuto il merito di analizzare e smascherare la determinatezza classista dei fenomeni sociali, ma per ironia della ragione, del tutto incapace di analizzare la determinatezza classista dei propri quadri, si percepì come intellettuale critico e dopo poco dalla sua nascita scelse di produrre politica per guidare e organizzare un altro soggetto sociale, gli operai di fabbrica.
Il movimento del 77 non operò assolutamente un’effettivo autoriconoscimento come soggetto studentesco, seppur cosciente di avere un destino diverso dai privilegi che 15 anni prima potevano avere i laureati. Fu egemonica, a causa anche del duro scontro con la sinistra della cgil e del pc, al suo interno la teoria coniata da Asor Rosa delle due società, la seconda società, a cui si riferiva il Movimento, era quella dei disoccupati, degli emarginati e della disgregazione sociale, mentre la prima, difesa dal PC, era quella degli occupati stabili degli integrati e dei garantiti, fra questi anche gli operai.
Questa teoria giustificava la condotta del pc, che poteva difendere solo la prima società, alleandosi con il capitale produttivo quando si parlava della seconda società. Ma tale teoria divenne egemone anche nel Movimento e forniva l’alibi anche al soggetto maggioritario del movimento ovvero L’Autonomia Organizzata che sosteneva il destino “non garantito” del soggetto studentesco, ma identificava esso nell’universo dei precari, senza analizzare la specificità studentesca.(problema presente tutt’oggi).
La pantera segna un punto di discontinuità come detto anche prima. Fu un movimento attraversato in maniera decisiva dal dibattito sull’autorganizzazione e sui metodi decisionali. Dibattito risolto non molto efficacemente visto anche lo scontro tra i gruppi sulla necessità dell’autorappresentanza. La cosa interessante è però l’emersione del problema dell’autoriconoscimento e delle forme di autorganizzazione, tant’è che la politica dentro l’università dopo la pantera non sarà più la stessa.
La sconfitta determinò reazioni differenti. Da una parte in settori militanti della sinistra prese piede la sfiducia e si teorizzò come l’università non fosse più un luogo di conflitto. Dall’altra iniziarono nuove sperimentazioni di intervento politico. Dopo la pantera infatti cresce e si rafforza una nuova forma dei collettivi studenteschi, strutture intermedie tra il corpo sociale studentesco e i soggetti politici, aperti al loro interno a studenti appartenenti ad aree politiche diverse o ancora non politicizzati, incentrati sulle contraddizioni legate a didattica e al diritto allo studio e volti a favorire esperienze embrionali di autorganizzazioni.
Lo stesso periodo vede la nascita di Udu e Uds, sindacati studenteschi nazionali finanziati dalla cgil funzionali negli anni 90 a legittimare le riforme liberiste del centrosinistra. Un imitazione di sindacati studenteschi discutibili, ma significativi in altri paesi come la vicina Francia (con l’ Unef), operata dagli eredi della Fgci, ormai scivolati nel PDS poi DS.e attualmente in gran parte nel PD. Dopo l’approvazione della Zecchino molti dei militanti di sinistra abbandonarono l’università quale luogo d’intervento politico, passandovi, al più, per pubblicizzare iniziative o cortei.
Ci sono però alcune eccezioni…
L’occupazione della Sapienza a Roma nel 2001 in seguito all’aumento delle tasse ,che vide occupazioni durate quasi un mese in 5 facoltà e tre case dello studente, riuscendo ad ottenere un importante riduzione di quell’aumento e a portare migliaia di studenti romani al G8 di Genova,ma non a rimettere in discussione la Zecchino a pochi mesi dalla sua applicazione, essendo rimasto un movimento locale.
Altre espressioni di conflittualità si videro con lo scoppio della Guerra in Iraq, anche se probabilmente l’eventi si dissolsero nel mare delle mobilitazioni contro la guerra, e non ci si interrogò molto sul ruolo studentesco.
Qui a scienze politiche ad esempio ci furono ben due occupazioni nello stesso anno accademico, la prima contro la riforma Zecchino e l’eventualità della guerra (si parlava appunto di “venti di guerra”) nel dicembre 2002 , la seconda in concomitanza con lo scoppio della guerra a marzo 2003 e vide la partecipazione degli studenti anche alle iniziative di Train-stopping.
Breve cronologia dei movimenti degli ultimi anni.
2005 Italia: L’arroganza del governo Berlusconi e della ministra Moratti è stata capace di provocare un movimento su una riforma che non fa altro che produrre aggiustamenti (seppur gravi) alle riforme complessive precedentemente approvate. Nell’autunno di quell’ anno anche i rettori e presidi hanno sottovalutato la situazione, determinando dall’alto il blocco della didattica e non prevedendo affatto la capacità degli studenti di diventare protagonisti e di radicalizzarne la piattaforma, loro sono diventati, infatti, le controparti degli studenti sull’applicazione del 3+2.
Pisa quell’anno ci ha visto partecipi dell’occupazione del polo didattico Carmignani da cui uscì il pamphlet: "Precari si nasce", una delle più interessanti produzioni editoriali del movimento degli ultimi quattro anni, che si interrogava, appunto, sul rapporto tra formazione (soprattutto universitaria) e la precarietà che ci attende nel mondo del lavoro e a cui in parte siamo già sottomessi (in larga parte…).
2006 Francia: Nella primavera un movimento di studenti insorge contro il contratto di primo impiego per i giovani, che precarizza la loro condizione lavorativa futura, prevedendo anche la possibilità di licenziamento senza giusta causa dei giovani alla prima assunzione.
Lo studente della fabbrica di precari non si pone immediatamente sul piano politico, da una parte, la critica alla politica come sfera separata è profondamente radicata in una generazione che qualcuno si ostina a definire qualunquista. Le scintille del movimento prima italiano e poi quello francese ci parlano direttamente delle caratteristiche sociali dello studente massa, precario in formazione.
La riforma Moratti contrattava direttamente la didattica o il diritto allo studio come le precedenti riforme, anzi si è trattato di un ddl sulla docenza e la precarizzazione della ricerca universitaria .È il disagio vissuto nelle proprie condizioni materiali di vita prodotto dal 3più2 , dai saperi minimi che promettono un futuro di precarietà, ad aver provocato l’esplosione. La scintilla dell’esplosione francese riguarda un provvedimento che non interessa direttamente l’università, il cpe appunto.
Mai come in questo caso l’essere precari in formazione diviene centrale nell’esplosione di un movimento studentesco. Questo produce una grande alleanza come nel 68 tra studenti e lavoratori, ma con forme inedite. Tant’è che non sono studenti che pensano di dirigere la classe operaia, ma studenti che si alleano con i lavoratori da soggetto a soggetto per un provvedimento che colpirà soprattutto i giovani. Diversamente dal passato non pretende di guidare ne di essere guidato da altri soggetti sociali.
La differenza sostanziale tra il movimento francese e quello italiano oltre l’estensione della mobilitazione, che in Francia ha visto 68 atenei occupati e 13 in mobilitazione su un totale di 88 atenei presenti nel territorio, mentra in Italia c’è stato una sola assemblea nazionale a Roma il 6 novembre e solo i 3 atenei romani e quello di Bologna avevano molte facoltà occupate e un’altra decina gli atenei in mobilitazione.
Inoltre il movimento studentesco francese è riuscito a costruire un’alleanza stabile con i lavoratori costringendo poi i sindacati in una radicale dinamica di scioperi. Esattamente quello che è mancato in Italia dopo l’assedio al parlamento del 25 ottobre, e l’occasione era a portata di mano visto lo sciopero generale (anche se solo di 4 ore e con una piattaforma non molto adeguata) convocato dai sindacati confederali. La caratteristica di questi movimenti, sta nella riscoperta dell’esigenza di organizzazioni studentesche che hanno fatto proprio il problema dell’autoriconoscimento e che sappiano tendere all’autorganizzazione e farsi movimento. È dall’approfondimento radicale della propria natura sociale, che può emergere la politicità di questo nuovo soggetto.
Di fronte ad una trasformazione di questa università che schiaccia i tempi di vita dello studente attraverso la trasformazione in esamificio dove perdere un treno/esame può voler dire molto e lo spinge a lasciare l’università prima possibile visto anche i costi sempre in costante crescita. i collettivi universitari negli ultimi anni hanno avuto andamenti a “fisarmonica”, con improvvise esplosioni e repentini momenti di difficoltà e un accentuato ricambio di attivisti, che spesso si traduce in inesperienza politica. Nel ritmo lavoro/studio che si vive nell’Università Berlinguer-Moratti si realizza e si riconosce la più sistematica e violenta delle espropriazioni: quella del tempo. L’alienazione del tempo dello studente massa nella catena di montaggio di precari in formazione costituisce l’elemento centrale dei processi di riforma, e quindi del potenziale conflitto.
Così come chiudeva il manifesto per l’autoriforma dell’università, redatto dall’assemblea degli studenti universitari dei ricercatori precari e degli studenti medi a Roma nel novembre 2005.
Non abbiamo altre riforme da attendere o governi da aspettare. Il nostro tempo è qui e comincia adesso.